Sabato 19 giugno arriva, in un posto affascinante come il giardino della milanese Triennale, un artista incredibile. Uno che – chiedete in giro ai più bravi – è davvero il “dj dei dj”, uno cioè amatissimo e rispettatissimo in primis dai colleghi più esigenti per il suo gusto, il suo senso dell’avventura musicale, la sua integrità artistica che spesso confina nella genialità (riflesso anche nel catalogo della sua Offen Music). Insomma: per tutti coloro che si sentono militanti della club culture più dura e pura, Vladimir Ivkovic è una bandiera. Meritatamente, lo confermiamo pure noi. La cosa strana è che Vladimir ha una “doppia vita” professionale che lo porta ad essere label manager della Desolat, l’etichetta di Loco Dice, e qui ovviamente finiamo in campi che esulano dal clubbing più alternativo e sotterraneo – manco di poco. Com’è possibile? In questa lunga e bella chiacchierata Vladimir ci racconta come (e perché) sia più che sensato conciliare le due cose, così come ci racconta di serate assurde e di cosa significhi essere nato e cresciuto nella Jugoslavia pre-dissoluzione: e visto che questa intervista nasce proprio come antipasto della serata milanese alla Triennale all’interno della rassegna Nuove Forme, il ricordo corre prima di tutto ad altre sue sortite milanesi. Sortite che lo hanno decisamente lasciato col sorriso stampato in faccia. A partire dai suoi set al festival Terraforma.
Quindi insomma, hai un bel ricordo di Milano…
Guarda, forse davvero Terraforma è il posto più interessante dove abbia mai suonato. Davvero. Lo è stato per il luogo: Villa Arconati, il giardino che la circonda; ma anche la sua storia, la sua leggenda. Entri e sei circondato infatti da statue strane, con armature di cemento, da uomini con teste di leone: qualcosa di folle, molto “pagano”, e infatti gli organizzatori mi dicevano che per tantissimo tempo quel posto era uno dei luoghi di ritrovo preferiti dagli occultisti italiani. Insomma: capisci che se mi chiedi “Qual è il posto dove preferisco suonare?” la mia risposta va al di là delle constatazioni fisiche ed architettoniche più ovvie, tipo “Meglio suonare in un posto piccolo”, “Meglio un set open air”. A me piace considerare infatti un po’ tutto, indagare anche sulla storia. E respirare poi l’umanità delle persone, di chi c’è e di chi organizza. Una cosa è sicura: quando suoni in un posto affascinante in mezzo a persone appassionate, dopo fai un po’ più di fatica ad abituarti a ritornare nei grandi festival massificati, che spessissimo sono dei non-luoghi costruiti per l’occasione (palco, biglietteria, strutture bar) che poi vengono completamente smantellati ad evento finito. Lì il massimo che ti puoi chiedere è com’è la console, com’è illuminata, se è stabile o meno, eccetera eccetera. E’ meno interessante, così. Molto meno interessante.
Per molti invece ormai la regola è proprio questa, suonare in posti abbastanza pre-confezionati. Hai mai avuto dei momenti in cui ti eri stufato di fare il dj?
No, mai. Davvero: mai. Sì, ok, il “dj come professione” qualche volta è una cosa un po’ così, ma… Già capire di che “professione” si tratti apre molti interrogativi, no? Ci sono modi e modi di svilupparla. Ci sono quelli che sono essenzialmente degli intrattenitori: dei Frank Sinatra del nuovo millennio, se mi passi il paragone. Sono bravissimi, eh. Fanno molto bene il loro mestiere. Ma nella mia visione delle cose, il dj è qualcosa in più o di diverso rispetto a questo. Almeno potenzialmente. Al di là di tutte queste considerazioni, devo dire che fortunatamente non mi sono mai sentito esausto o depresso. Mai. Chiaro: gli orari possono essere difficili, anche altre cose magari non sono semplicissime; però non so, negli anni ho visto veramente tanti miei colleghi lamentarsi dei viaggi, degli aeroporti, degli hotel, scattarsi dei selfie con l’aria contrita e distrutta e, boh, sono perplesso: se veramente questo lavoro ti fa stare così male, perché lo fai? Perché lo porti avanti? Lo sai che se fai il dj ad un certo livello il viaggio continuo è una parte ineludibile della faccenda, non puoi non saperlo. Non è mica una sorpresa. E se tutto questo ti è troppo pesante, puoi benissimo cambiare mestiere. Nessuno ce l’avrà con te se fai questa scelta. Nessuno ce l’avrà con te se ti metterai a fare l’agricoltore, o l’impiegato in banca, o quello che vuoi. Sai, ogni tanto ho l’impressione che anche questa “sofferenza” attorno alla vita del dj sia in qualche modo esasperata solo per motivi di mercato: il “dj sofferente” cerca la solidarietà e l’affetto dei fan, rinforzando il legame col pubblico. Non ci si rende però conto che ci si sta un po’ lamentando di problemi da privilegiati.
Tu però hai mai avuto dei momenti in cui magari dalla tua carriera volevi un po’ di più, qualche soddisfazione in più? Più fama, più soldi, più esposizione, più date? A occhio, direi di no.
A occhio, dici bene! E te lo dico proprio sinceramente, credimi. D’altro canto, quali sarebbero poi le soddisfazioni che ti puoi prendere, nello specifico? Volare in prima classe invece che in Economy? Essere preso da un driver in Mercedes invece che da uno in Fiat Punto? Stiamo parlando davvero di questo? Davvero davvero? In fondo, la soddisfazione è sempre un fattore soggettivo, che ti dipende completamente da quali obiettivi ti poni. L’obiettivo che mi pongo io è di essere il più possibile onesto verso me stesso e verso le mie passioni, verso quello che rappresento e la musica che amo. Davvero è necessario farsi aiutare da un algoritmo per provare a prendere più date? Ne abbiamo davvero bisogno? Tanto più che siamo in Europa Occidentale, un luogo più fortunato di altri, dove puoi avere accesso a musica e cultura molto più facilmente che altrove.
Spesso ce lo dimentichiamo, vero.
Prendi il posto dove vivo, Düsseldorf: non è certo una trascinante metropoli dalla vita culturale incredibile, ma anche per la mia nicchia ho comunque i posti dove andare, ho dei negozi di dischi che sono dei piccoli santuari in grado di soddisfare le mie richieste e le mie curiosità. Ti dirò, più passa il tempo più mi rendo conto di quanto l’esperienza del Salon Des Amateurs, nata nel 2004, sia stata importante. Ha lasciato una traccia davvero profonda. Ed ha iniziato a farlo quando non c’erano i social, quando l’unica forma possibile di visibilità erano dei flyer – peraltro molto belli! – lasciati in giro per alcuni posti strategici della città. E poi, è sempre stato un posto dove la porta era aperta per tutti, non c’era selezione infatti, e dove una volta entrato eri comunque libero di uscire se ad un certo punto ti rendevi conto che non ti stavi più divertendo. Tutto questo in un senso di grande rilassatezza ed amicizia. Considerando che la mia identità da dj è cresciuta in un contesto del genere, in una serata così costruita proprio “a misura”, come potrei sentirmi insoddisfatto di quello che sono e di quello che faccio? Le vibrazioni respirate lì continuano ad accompagnarmi ovunque vada a suonare. Ed è una bellissima sensazione. Ma non voglio eludere la tua domanda con delle risposte troppo auliche…
Bravo!
Chiaro: un mio obiettivo potrebbe essere suonare in eventi più grandi, meglio pagati, con più pubblico, ma sai qual è il problema? Se ci arrivassi, suonerei comunque la musica che voglio io; e la musica che voglio io – credimi – non penso vada bene per quei contesti. Se iniziassi a suonare nel main stage di un grande festival dance al peak time, penso che tempo dieci minuti quel tizio lì in prima fila – con gli occhiali scuri e la canottiera, gonfio di speed – mi prenderebbe e mi impalerebbe in un girarrorosto, cuocendomi alla brace… e lo capirei pure, avrebbe ragione! (risate, NdI) Sai, esiste un proverbio tedesco: “Il calzolaio faccia il calzolaio”. Insomma – stai nel tuo. Cerca di capire qual è il contesto giusto per te, e una volta che l’hai capito goditelo e cerca di fare del tuo meglio. Al tempo stesso, visto il mio ruolo dentro Desolat, io comunque ho un osservatorio privilegiato sulla techno e house dei “grandi numeri”…
Se iniziassi a suonare nel main stage di un grande festival dance al peak time, penso che tempo dieci minuti quel tizio lì in prima fila – con gli occhiali scuri e la canottiera, gonfio di speed – mi prenderebbe e mi impalerebbe in un girarrorosto, cuocendomi alla brace… e lo capirei pure, avrebbe ragione!
Benissimo, mi hai anticipato, ci sei arrivato tu. Io trovo veramente bizzarra questa cosa: chi ti conosce come Vladimir Ivkovic, il ricercatissimo e sofisticato dj da dancefloor “intelligente”, probabilmente non sa o si sforza di dimenticare che tu sei anche una persona fondamentale nella vita della Desolat, la label di Loco Dice.
E’ una posizione molto bella, sai. E’ come vedere un prisma, potendone apprezzare tutte le sfumature.
Credo che tu sia uno dei pochi posti artisti conclamatamente “underground” – passami l’aggettivo – con però una vista così diretta, immediata e da “insider” a quello che è invece il clubbing dei grandi numeri. Forse nessuno come te ha questo privilegio, questa caratteristica.
Affascinante, no? Affascinante, e molto bello. Chiaro: se penso al “mio” mondo, penso a un giro ben specifico di artisti che per me sono degli eroi, creativamente ed umanamente; ma sarebbe miope pensare che che tutto si esaurisca nelle persone che conosci e frequenti di più, con cui hai più affinità. Prendi ad esempio tutto quello che faccio con Desolat: magari non mi vedrai tanto spesso ai party della label, ma ti assicuro che è una esperienza fantastica poterci lavorare, è davvero molto bello vedere il flusso di demo che arrivano – e coordinarlo assieme a Dice. Ascoltando questo materiale, capisci verso dove sta andando la musica elettronica, quali sono le grandi forze e le grandi ondate che la stanno spingendo. Non sempre incontrano il mio gusto? Non sono quello che farei o suonerei io? Magari sì, ma dove sta il problema? Perché ti assicuro che è veramente emozionante fare parte di un’etichetta in cui si rivedono molte persone, e che in molti casi può trasformare sogni in realtà. E lo fa in modo onesto tra l’altro, specchiato, perché se qualche label ad un certo punto ha iniziato a chiedere soldi per pubblicare questa o quella release di artisti ancora non affermati, noi di sicuro non l’abbiamo mai fatto e mai lo faremo. Aggiungo che Dice ha sempre questa motivazione fortissima nel “restituire” alla scena: si sente una persona privilegiata e fortunata, vuole sdebitarsi quotidianamente. Qualcuno troverò tutto ciò eccessivo o ridicolo; io, beh, lo amo. Trovo sia una cosa meravigliosa.
Insomma, stai bene in entrambi i mondi.
Sono un po’ “in mezzo”: in entrambi i contesti, sono un “invisibile”, un “irregolare” (ride, NdI)… E in quanto tale, posso permettermi il lusso di poter osservare parecchio, senza che nessuno me ne chieda conto. Ed osservando tanto, scopro che in entrambi i contesti – sia quello mainstream che in quello cosiddetto underground – ci sono invidie, gelosie, ego ipertrofici, lotte stupide, così come in entrambi i contesti ci sono persone meravigliose che ti danno il cuore e fanno tutto con grande passione. Guarda: è come se da un lato ci fosse il Real Madrid, dall’altro un torneo di minigolf. E tu nel minigolf puoi essere un giocatore bravissimo, e trovarci grande soddisfazione nell’esserlo: perché dovresti pensare a Cristiano Ronaldo? Perché dovresti considerarlo un nemico da abbattere? Sai qual è forse il segreto…
Dimmi.
E’ che io ho iniziato a suonare parecchio in giro – con residenze anche al WMF, all’antesignano del Berghain ovvero l’Ostgut, in molti altri posti affascinanti, e questo prima ancora del Salon – quando ancora internet non esisteva, e questo sai cosa significa? Che ai miei esordi non sono dovuto passare attraverso l’era della “gratificazione immediata”, ovvero del tutto che deve essere fruito, sfruttato, condiviso in tempo reale. Questa trovo sia una gran fortuna. Mi permette un approccio molto più rilassato.
Flemma balcanica, quasi, ne so qualcosa (risate, NdI) …infatti ti chiedo: c’è un po’ di Balcani anche nel tuo modo di essere dj e di approcciarti alla musica?
Probabilmente, sì. Anzi: di sicuro. I Balcani poi sono un posto pazzesco, con un’energia incredibile. Crescere a Belgrado non è una cosa banale. Del resto era già Plinio, ai tempi degli antichi romani, a scrivere se non sbaglio “E poi c’è questa gente spaventosa dei Balcani, capace di ucciderti solo con lo sguardo” (risate, NdI): insomma, anche la Roma che aveva conquistato mezzo mondo aveva una fifa blu di questo buco di culo conficcato nel mezzo del continente europeo! (altre risate, NdI) Belgrado è una grande città, mi sento molto fortunato ad averci vissuto e ad averlo fatto – per un decennio – quando ancora c’era la Jugoslavia unita. Una nazione davvero unica, particolare, che non a caso politicamente aveva dato vita al Movimento dei Paesi Non Allineati: né con gli Stati Uniti, né con l’Unione Sovietica. Schierati con nessuno, ma in dialogo con tutti.
Ecco perché sei un eroe dell’underground e al tempo stesso sei il primo socio di Loco Dice! Vedi, tutto si spiega! Artista Non Allineato che non sei altro!
(ride, NdI) Sai che probabilmente hai ragione? Se ripenso alla mia giovinezza ho ricordi bellissimi, in primis dal punto di vista culturale: avendo la fortuna di essere cresciuto in una metropoli e non in uno sperduto villaggio dell’entroterra, ero esposto veramente a tante, tantissime influenze in arrivo sia dell’est che dall’ovest del mondo, e questo proprio negli anni in cui ti formi intellettualmente. E quindi: avendo avuto la fortuna di crescere con questa ricchezza, questa pluralità e questa libertà, perché dovrei costruirmi da solo delle gabbie, delle limitazioni e dei pregiudizi? Sento anzi il dovere di portare avanti questo spirito di interesse e libertà – noi che lo abbiamo vissuto dobbiamo esserne testimoni, e dobbiamo tramandarlo. La Jugoslavia sotto molti punti di vista è stato un paese assurdo, ogni tanto sembrava di vivere in un gigantesco “Flying Circus” dei Monty Python (…anzi, mi sa che alcune gag manco loro sarebbero riusciti ad immaginarsele); e ad un certo è esplosa, implosa, finita male, questo per mille motivi. Era destino, evidentemente. Di sicuro però per colpa di queste circostanze ho maturato una sensibilità particolare: quando sui giornali tedeschi iniziavo a leggere, durante la grande crisi finanziaria di pochi anni fa, “Greci pigri bastardi, si stanno mangiando la nostra ricchezza”, o quando vedo ora che il nuovo “nemico pubblico” sono gli immigrati, sento un nodo alla gola. Riconosco le stesse dinamiche di odio e populismo che hanno attraversato i Balcani prima della loro dissoluzione, dinamiche che rischiano sempre di degenerare velocemente e senza preavviso, sfuggendo al controllo e alla ragionevolezza collettivi, distruggendo tutto e seminando distruzione. In Jugoslavia è andata così. Quando inizi a perdere il senso di compassione più basilare, poi le cose possono andare davvero a schifio. Sì: su queste cose sono piuttosto sensibile. In qualche modo, credo che questo tipo di sensibilità entri anche nel mio modo di approcciare il mio essere dj. Non chiedermi come, non chiedermi in quale modo: ma penso che ci sia.
Il tuo modo di essere dj ti ha portato ad essere un classico “dj’s dj”: ovvero, sei uno dei dj più apprezzato dai propri colleghi, quando parlo in giro con gente strettamente del mestiere sento solo dire cose meravigliose di te e del tuo modo di approcciare la console. Ti è mai successo però di sbagliare completamente un set, o una parte di esso, e dover faticare per ritrovare la rotta?
Ma sai: anche qui, dovremmo capire cosa significa “sbagliare”. Mi viene in mente subito una cosa datata 2013, la mia data al Plastic People londinese, chiamato dal mio amico Ivan Smagghe. Avevamo due ore a testa; io ovviamente avevo pensato “Beh, chiaramente apro io, poi lui si prende lo slot principale come giusto, mi porto dietro una valigia dei dischi da inizio serata, da pista ancora vuota”. Arrivo lì, vedo Ivan, lui mi fa “Ma sei pazzo, ma ci mancherebbe, il resident sono io – quindi l’ospite sei tu. Apro io la serata, tu ti prendi lo slot principale”. Terrore: guardo la mia valigia dei dischi, “E ora che ci faccio con questa roba tutta strana e psichedelica che mi sono portato dietro, pensando di avere davanti una pista ancora mezza vuota?”.
Come è andata a finire?
E’ andata a finire che è stata una nottata fantastica. C’è anche una controprova molto divertente: moltissimi dischi che avevo suonato quella sera il giorno dopo sono andati esauriti su Discogs, o comunque vedevano le quotazioni esplodere – mi ricordo ad esempio di un vinile passato nell’arco di poche ore da 18 a 150 euro! Ok: ora ti ho raccontato una cosa bella. Ci sono anche serate che vanno male, chiaro, ma questo succede per lo più per problemi tecnici. E quelli io cerco di prevenirli sempre, con una serie di piccole accortezze. Se manco quelle funzionano, allora vuol dire proprio che il promoter ha sbagliato qualcosa nell’allestire la console, e lì mi metto l’anima in pace. Ma anche lì: vale la pena incazzarsi? Non siamo robot. Io non sono un robot. Il fonico non è un robot. Nemmeno il barista è un robot. Quindi a me capita di fare set meno belli di altri, il fonico una sera può non avere pieno controllo della situazione, e pure i gin tonic ogni tanto possono essere meno buoni del solito. Ti dirò di più: quando poi finisci agli eventi tech-house di alto livello, tutti perfettamente organizzati, perfetti, quasi asettici, finisci addirittura col rivalutare le serate in posti un po’ più scalcagnati.
Causa restrizioni Covid, a Milano ti capiterà di suonare per una platea teoricamente seduta, o comunque non danzante.
Non è la prima volta che mi succede. Può essere comunque molto divertente ed interessante. In questi casi mi porto dietro davvero tanta musica particolare, attingendo dalla mia discografia ma anche da quella dei miei parenti o dei miei genitori. In più, ho già iniziato a studiarmi il posto dove suonerò a Milano stavolta: anche la Triennale è un posto ricco di storia, con una forte identità. Chissà: potrei tirare fuori un set geometrico e matematico, per andare incontro all’architettura della struttura, o fare l’esatto contrario. Sarò in mezzo ad un contesto fatto di arte, stile, design, magari un po’ di vanità: potrei suonare musica molto “umana” e triste, per amore di contrasto, oppure potrei anche mettere cose molto “felici”. Sai, io spesso quando mi approccio alla console mi vedo come una specie di Peter Sellers dentro “Hollywood Party”… (risate, NdI). Una cosa è certa: sono molto felice di tornare a Milano. Così come sono in generale felice di suonare in Italia. Mi ricorderò sempre una data al Link a Bologna, dove ero stato invitato dal mio amico fraterno Marco Passarani (…e prima ancora che diventasse amico, un artista che ammiravo ed ammiro tutt’ora a dismisura!). Anche lì pensavo di suonare all’apertura, invece ad un certo punto Marco mi fa “Vladimir, non mi sento tanto bene, il peak time oggi lo fai tu, io appena finisco me ne vado a casa”. Invece, Marco è rimasto tutta la serata seduto su una delle casse dell’impianto a fare headbanging, esaltato, “Fratello, ma che set incredibile stai facendo! Da paura!” (lo dice proprio in italiano imitando Passarani, NdI). Non ci sono poi solo le serate: se penso a Milano penso anche al Serendeepity, ad esempio. Sai, un certo tipo di clubbing in fondo è un piccolo giro di persone che è felice di fare, in qualche modo, resistenza culturale. E’ un piccolo mondo. Ma bello.