Potrebbe essere l’inizio di una nuova “wave” nell’hip hop italiano. E sarebbe interessante. Dopo tanto hip hop nordista (e non solo) schiettamente “vincente”, sull’onda emulativa dell’immaginario clubdoghesco – che davvero ha monopolizzato l’ultimo decennio dell’hip hop italiano: onore al merito – che porta a celebrare soldi, successo, marpionaggine, malavita convertita a neo-ricchezza, l’avvento di Massimo Pericolo è stata una botta assestata di traverso a tutto questo. Urticante dal punto di vista sonoro (e non emulativo dei modelli di successo in classifica), cantore dei dropout veri, auto-celebrante gran poco (se non con retrogusto profondamente amaro), ha rivoluzionato nel suo piccolo i canoni dell’hip hop di casa nostra.
Da un background geografico simile ecco ora saltare fuori Wasi, mc della provincia di Varese, già nella crew Stato Brado: uno di quegli mc che ti chiedi prima di tutto “Ma ci è ci fa”, secondo di tutto ti dici “Ma che cagata”, terzo di tutto inizi “C’è qualcosa di strano, però… e non capisco se un po’ mi piace, se un po’ mi piace tanto”. E ci sta: questo è quello che succede spesso quando c’è un nuovo alfabeto espressivo in città. Sarà solo il tempo a dire se Wasi è una cazzata, uno scherzo fra amici, un rapper cazzone che segue l’onda lunga del collega più famoso; quello che è certo è che in “Amarcord”, di cui qui presentiamo il video, ci sono dei lampi che sì, ti fanno venire il dubbio e sì, catturano il tuo interesse. Altrettanto in altre tracce che abbiamo avuto modo di sentire, e che devono ancora uscire.
Siamo contenti quindi di poterlo presentare. E, in generale, siamo contenti quando l’hip hop in Italia si presenta con qualcosa di atipico, qualcosa che si discosta dalle linee-guida dominanti, qualcosa che non è ossessionato dall’idea di mettere subito tutte le spunte sulle regolette da seguire se si vuole sbancare nelle views, nei plays, nella canzoni cantabili d’estate da Baby K. E poi occhio: la parte sonora del progetto Wasi è curata da Fight Pausa, già co-creatore degli interessantissimi 72-HOUR POST FIGHT (ci folgorarono davvero fin da subito), artefice anche della sartorialità sonora di Generic Animal, insomma, uno di quei producer-della-nuova-generazione capace di incrociare ambiti ed uscire dai luoghi comuni, e di farlo pure con sinistra, irregolare classe. Ad ogni modo, torniamo a Wasi: per capire un po’ di più del personaggio, oltre all’anteprima del video – subito qui sotto, e la partenza con le pantofole già è un manifesto programmatico – scrollando giù trovate anche qualche agile domanda&risposta, così vi fate il quadro ancora più completo. E sì: atipico è atipico, e personaggio è personaggio, se uno si guarda attorno e pensa ai tempi che tirano nel mondo rappuso nostrano.
Lo sai vero che ti rimanderanno tutti a Massimo Pericolo, nel presentarti? Lo sto infatti facendo anche io, con questa domanda. Da uno a dieci, quanto ti dà fastidio? E da uno a dieci, quanto è stupido e superficiale farlo?
Penso che sia normale vista la provenienza e il fatto che veniamo dallo stesso “giro rap” a Varese. Inoltre, siamo più o meno coetanei e cresciuti con ascolti simili. Però credo anche che se uno non ascolta superficialmente, si rende conto abbastanza in fretta delle differenze, di contenuto, suono e stile. Detto questo, non mi infastidisce: se uno vuole approfondire la mia musica lo capirà, se no vuol dire che non c’è questo passo e, quindi, non è un’opinione che mi interessa.
A leggere il tuo background, si va nel rap tradizionale: 50 Cent, i Wu-Tang, Jay Z, Nas, Snoop. Eppure già la prima formazione di cui fai parte – Ignoranti Squod – abbraccia un’estetica diversa, un po’ “malata” e sarcastica, già nel nome. Come hai costruito la tua “voce” e il tuo modo di interpretare rap e cultura hip hop? Quanto ti senti atipico in questo?
Diciamo che quelli sono gli ascolti che mi gasavano da ragazzino. Quando però ho deciso di iniziare a fare rap attivamente mi sono reso conto che non potevo emulare quel tipo di suono, che era troppo lontano dalla mia cultura e dalla mia personalità. Sono un grande fan dei film horror, del black humor e della comicità che abbraccia questi due aspetti: perciò ho cercato di unire tutte queste caratteristiche per creare uno stile che mi rispecchiasse. Riguardo all’essere atipico non credo di essere il primo a fare una cosa simile, penso a Eminem o Tyler The Creator in America o Fabri Fibra in Italia
Se ne discute un po’, all’interno della scena: quanto conta la tecnica, oggi, nel fare rap? Tu come la vedi?
Io penso che la tecnica sia importante soprattutto all’inizio, quando ci si approccia: avere dimestichezza con la scrittura secondo me permette di affrontare meglio gli argomenti che si vogliono toccare senza essere macchinosi. Però devo dire che prediligo lo stile nei miei ascolti; se una roba spacca, spacca e basta, e se un messaggio arriva diretto senza troppi intrecci metrici beh, meglio ancora. Diciamo che secondo me serve più a chi scrive che a chi ascolta, la tecnica.
Lasciando stare i rapper storici e lasciando stare Massimo Pericolo, quali sono secondo te oggi gli artisti rilevanti al microfono, a cui magari in parte ti ispiri per “rubare” trucchi del mestiere?
Onestamente è da un po’ che non seguo troppo da vicino la scena italiana. Sicuramente Ernia è uno che sa scrivere bene, così come Lazza è uno che riesce a trovare delle linee melodiche molto interessanti ma apprezzo anche le cose più ignoranti come FSK e, non scherzo, Bello Figo. Altrimenti ti dovrei citare Guè, Marra, Jake e Fibra, i soliti insomma. A livello internazionale sono in fissa con il già citato Tyler, l’ASAP Mob, Kendrick e Denzel Curry.
Il rap in Italia oggi è un’arte, una professione, un hobby o un’illusione?
Credo sia tutte le cose assieme, i più giovani sicuramente vedono la figura del rapper come una volta si vedeva il calciatore o il tronista, ma solo uno su diecimila arriva ad essere veramente un’icona pop. C’è un sacco di gente che però lo fa per pura passione e magari non ambisce a nulla del genere, penso al giro dei freestyler ad esempio che lo fa per pura competizione. Poi nel rap c’è questa idea che negli altri generi non esiste: che se non sfondi in quel senso là hai fallito… che per me è una cazzata. Ci sta che a qualcuno piaccia fare sta roba per passione e basta; è come se a uno piace suonare la chitarra ma se non diventa Keith Richards è un coglione, non ha senso.
Classicissima domanda finale: quali sono le tue prossime mosse?
Ho una vita troppo sregolata per pianificare delle mosse, faccio la mia roba e vedo che succede. Se non succede nulla poco cambia, sono molto disilluso ormai, penso solo a fare musica che mi piaccia fino a che non mi rompo i coglioni.