Jamie Roberts aka Blawan, l’inglese ormai ex-enfant prodige della UK techno dalla passione particolare per la strumentazione analogica (e l’Italia, come ci racconta nella sua intervista), torna alle cronache e lo fa con il suo primo LP in uscita su Ternesc, label da lui fondata nel 2015 e dedicata al suo grande amore, “l’universo risucchia tutti” dei sintetizzatori modulari.
Ricordiamo solo brevemente come il ragazzo abbia alle spalle un percorso da producer iniziato già ai tempi dell’università, debuttando sin da subito per Hessle Audio, confezionando un remix per Warp e sfornando paio di uscite killer per R&S Records. Insomma, una partenza col botto e un’accoglienza entusiasta di pubblico e critica mantenutesi intatte negli anni a furia di track e collaborazioni felici dove potenza e carattere identitario non sono mai venuti a mancare.
Abbiamo accennato al ritorno (quasi) a sorpresa di Blawan con questo suo album di debutto, dal titolo “Wet Will Always Dry”. Parliamo di effetto sorpresa perché durante l’ascolto di questo doppio vinile l’impressione è quella di imbattersi in tracce più mature e strutturate, se paragonate a tante sue uscite passate.
Riascoltiamoci ad esempio lavori come “Fram”, oppure “Iddy”, o magari il remix per i The Hundred In The Hands: il range dei bpm qui arriva quasi a sfiorare i 140, i bassi sono gonfi come gomma pneumatica, il minimalismo vige sovrano, andando blawanamente a sporcarsi di tinte industrial ed EBM-eggianti. In questo disco, invece, ci pare di aver invece riscontrato momenti di addolcimento e atmosfera, sempre a braccetto con techno-frenesia controllata, sprazzi melodici particolarmente psicotici e un suono del basso very UK.
Se “Klade”, il pezzo d’apertura, parte felicemente astratto e tutto avvolto in una modulazione costante e ruvidina di droni, facendosi man mano sempre più energico e danzereccio, “Careless” piglia la palla al balzo in quanto a guizzo energico, arricchendosi però di (minimale) melodia e ospitando addirittura i vocalizzi dello stessso Blawan. Un filo ’80s synth-pop friendly, ma con garbo. “Tasser”, tutta sfrigolante e brutalmente technoide, dà una virata più mentale e psichedelica al tutto, con quel tappeto sonoro vagamente malato che le fa da sottofondo quasi costante tra l’orchestrale, il violinico e l’allucinatorio. “Vented” smorza la cattiveria schizzoide, con quel suo intermezzo pressoché ambient, rientrando poi però in acque somiglianti ad un qualcosa di descrivibile come post-jeffmillsiano, ma senza aspetti rivoluzionari. “North”, traccia a noi particolarmente gradita in quanto ad “avvinghiamento” mentale, richiamo a danze sfrenate e costruzione, ci imbriglia nelle reti di un rave bellamente sconclusionato, conducendoci alle soglie di un tunnel in cui l’oscurità lascia spazio a spiragli quasi iridescenti. Segue “Stell”, sorprendentemente groovy, dubby, cool e dall’andamento cauto, con la rinnovata presenza dei vocali atmosferici di Jamie.
L’album chiude con “Kalosi”, dalle strutture ritmiche percussive già presenti in “Tasser” e “North”, arricchite a questo giro da una bassline bella tosta ed eccattivante, e “Nims, nostra traccia preferita in assoluto – ipnotica, misteriosa, densa di techno-poesia grazie a quella sorta di arpa che ci fa prendere il volo, mentre alla ritmica è affidato il compito di mandarci in delirio. A piene mani.