Ci risiamo. Dopo Viterbo l’anno scorso, ora tocca a Modena, nella zona della Fiera. Migliaia di persone provenienti da tutta Italia ma non solo da essa (al solito, i francesi arrivano sempre in forze) si sono date appuntamento in un capannone non lontano dalla Fiera cittadina – occupata quest’ultima tra l’altro dalla tradizionale manifestazione Skipass, un “clash” abbastanza divertente (e infatti capita che un po’ di ragazzi usciti dal rave vaghino per le strade attorno alla Fiera coi primi operatori in arrivo, l’abbiamo visto stamattina coi nostri occhi, eravamo lì). Ieri sera pare fossero in 3000. In teoria, atti violenti della pubblica sicurezza permettendo, si va avanti fino a martedì. Nel frattempo comunque per queste 3000 persone – il pubblico di una partita di calcio in Lega Pro, di una di basket di bassa classifica – sono state chiuse nella notte ben quattro uscite autostradali: Modena Sud e Nord, Carpi, Campogalliano.
Se l’anno scorso la decisione dell’allora Ministro degli Interni Lamorgese di “lasciar correre” a Viterbo senza azioni di forza per sgomberi coatti aveva sollevato polemiche, cavalcatissime dall’allora opposizione, l’appena insediato Piantedosi mostra invece subito i muscoli: caldi e muscolari inviti alle autorità locali a liberare immediatamente l’area, promesse ringhiose di disegni di legge entro una settimana (anzi: già domani una prima bozza in Consiglio dei Ministri) che siano ritagliati esattamente sulle repressione ad alzo zero dei rave (sequestro del materiale, eccetera eccetera), senza le mollezze dell’anno prima. D’altro canto, se la destra repressiva sale al potere ci sta che faccia la destra repressiva.
Che dire? Divertente comunque che la priorità del nuovo Governo siano subito diventati i rave (…un progetto di legge entro una settimana? Con bozza presentata in poche ore, come se stesse per crollare il Paese? Wow).
Divertente, e salutare. Oh sì.
Perché magari ricorda che il ballo può anche essere un atto sovversivo, non solo un’industria commerciale, a-problematica ed addomesticata votata al profitto, dove la trasgressione magari c’è ma è sepolta sotto pesanti strati di reticenza ed ipocrisia; così come ricorda che gli spazi si possono anche prendere, soprattutto quando sono capannoni abbandonati. Capiamo perfettamente le obiezioni: un rave può essere un insulto ed una concorrenza svergognatamente sleale verso chi invece fa tutto secondo le regole; un contesto come quello del rave è meno soggetto a controlli e limiti, quindi più potenzialmente pericoloso; alla fine anche coi rave più o meno ci si arricchisce, e le droghe che circolano non circolano gratis.
Tutto vero. Ma forse è il caso di ricordare che le cose non sono mai semplici, e la verità non è mai una sola e, soprattutto, non è mai assoluta. C’è e ci deve essere sempre una tensione tra ciò che è ufficiale, e ciò che è spontaneo e sotterraneo. Tra ciò che è legale ed irregimentato dall’alto, e ciò che invece vuole darsi delle regole autonome e condivise da una comunità. Tra una industria culturale che si basa sul profitto (perché col profitto esiste e si progredisce), e una cultura che non per forza deve essere industria (ma si accontenta di stare su una linea di galleggiamento dove i profitti non sono massimizzati e sono poi subito re-investiti non per fini di lucro e di mercato).
Non esiste una soluzione semplice, e forse – occhio – nemmeno esiste una soluzione. Esiste che il mondo e la società sono fatte di tante teste, tante visioni, tante pulsioni: chi pensa di soggiogare tutto col “law&order” imponendo la dittatura della maggioranza (…che poi, come se nella maggioranza non fosse pieno di gente che comunque balla e si sballa: ma regna l’ipocrisia del non dirlo e del nasconderlo) decidendo così per tutti e con la forza cosa è bene e cosa è male, beh, è sano che si debba scontrare ogni tanto con dei momenti e dei movimenti che ricordino che no, il mondo non è una caserma, e che esistono anche il dissenso e le pratiche di aggregazione alternative.
Poi, uno può scegliere se stare con la legalità o l’illegalità, col clubbing ufficiale o coi rave antagonisti. Di più: può anche scegliere di frequentarli/apprezzarli entrambi. A patto di essere consapevole delle varie specificità e delle varie implicazioni. D’altro canto se vai ad un illegale solo per drogarti come un cavallo, ti perdi una discreta fetta di divertimento (e di cervello, proprio fisiologicamente parlando); ma se pensi che il ballare sia solo edonismo ed industria consumistica, anche in questo caso ti godi solo una parte dell’esperienza.
Il tema è complesso. I rave illegali sono una questione complicata, ed ogni tanto hanno anche derive decisamente del cazzo, diciamolo (come del resto sa chi segue i dibattiti ormai pluridecennali tra varie generazioni di raver), oltre a fare gaglioffa concorrenza scorretta verso chi segue tutto (o quasi…) ciò che la legislazione obbliga a seguire. Ma sono vita, piaccia o non piaccia; sono realtà, continuano ad esserlo; sono un movimento che nasce dal basso. Sono comunque un granello nell’ingranaggio di chi vorrebbe che i cittadini fossero soldati che obbediscono&eseguono anche nel momento in cui scelgono come divertirsi. E non è che se prendi il 26% (o il 44%, sommando gli alleati…) sul 70% scarso di votanti allora puoi pensare che qualsiasi cosa tu dica o faccia sarà accettata. Hai il dovere di decidere, anche quello di agire secondo le tue convinzioni, quello sì. Ma hai anche il dovere di capire per bene fino a che punto le tue azioni possono essere sagge, accettate, accettabili. La politica è questo. Non solo potere, interviste da Vespa, cene coi banchieri, comunicati stampa a media compiacenti ed auto blu.
Una società con troppi conflitti ed anarchie è una società malata e bloccata, ingestibile e destinata ad una entropia distruttiva, quindi da curare ed aggiustare. Ma una società senza conflitti, è una società morta. Scegliete liberamente da che parte stare su ‘sta cosa dei rave e fino a che punto farlo (perché appunto non è per forza “o di qua, o di là”), ma il principio di cui sopra tenetela per favore a mente.
Witchtek sulle prime pagine di tutti gli organi d’informazione è insomma un momento importante di riflessione.
Fino a che punto lo Stato può decidere come ci si diverte e come ci si comporta? Fino a che punto ogni aspetto della nostra vita e di ciò che facciamo deve essere regolato a norma di legge, per giunta leggi emanate da una classe politica di cui da tempo e fatti alla mano ci fidiamo fino ad un certo punto?