Allora, mettiamola così: nel mondo dei festival italiani, c’è sempre stata una distinzione fra quelli a matrice (indie) rock e quelli a matrice più elettronica. Sempre. All’inizio addirittura i campi erano proprio non comunicanti: l’audience di taglio indie rock avrebbe schifato le cose danzabili e/o senza chitarre e strumenti “veri”, quella di taglio elettronico avrebbe considerato dinosauri e/o tizi barbosi tutti quelli che non mettevano la cassa in quattro o non facevano suoni solo ed esclusivamente coi software o i synth. Poi vivaddio dalla fine degli anni ’90 (quasi un decennio in ritardo rispetto all’Inghilterra…) ci sarebbe stata qualche timida apertura, poi moltiplicatasi con l’avvento della “musica liquida”, in cui tutti possono ascoltare di tutto e senza spendere un soldo, quindi giocoforza si è sviluppata una maggiore curiosità ed apertura mentale negli ascolti. Soprattutto dopo che “Discovery” dei Daft Punk era stato il Grande Bignami che aveva sdoganato l’elettronica presso gli indie kids, quello il momento simbolico di passaggio.
C’è poco da fare, però. L’Italia è ancora un paese dove la maggioranza dello schieramento pop-rock, in senso lato, è schiacciante. Lo prova il fatto che chi dalla scena indipendente è sbocciato negli ultimi dieci, quindici anni in questo contesto, ora può ambire a fare non diciamo gli stadi (qualcuno li fa pure) ma di sicuro i palasport e le venue da 3000 persone e passa come Alcatraz e Fabrique; nessuno ma invece proprio nessuno degli artisti venuti fuori dalla scena underground del clubbing e dell’elettronica negli ultimi quindici anni potrebbe oggi fare lo stesso – a meno che la sua popolarità non sia un “rimbalzo di rimando” di una storia che si è consacrata a Ibiza, Londra, Berlino, o comunque fuori dall’Italia. Capite quanto è grande la differenza?
In più mettiamoci anche la crisi del clubbing in sé. I festival di elettronica e “musica avanzata” prosperano, ma le serate regolari – che un tempo in Italia nascevano in ogni dove ed addirittura non erano confinate solo weekend – oggi sono rarissime. Serate come Tropical Animals sono diventate oggi un’eccezione incredibile e quasi inspiegabile, quando invece un tempo ogni città medio-grande aveva una serata il giovedì (e forse addirittura decine nel weekend). Oggi è già tanto se qualcuno resiste, se ha una serata bisettimanale e mensile, e spesso e volentieri c’è comunque bisogno del “doping” dell’ospite in line up (…originariamente questa dell’ospite era una bella cosa, era un modo per sprovincializzare la nostra scena, col tempo è diventata purtroppo una fiera delle vanità sia per gli artisti che per i promoter).
Questo è il quadro. Ed è partendo da questo quadro che troviamo incredibilmente interessante quello che ha fatto quest’anno Woodoo Fest, da domani 20 luglio fino al 23 a Cassano Magnago, non lontano da Varese. Una rivoluzione copernicana, nel suo piccolo. Guardate la line up qui sotto, e ricordate: Woodoo Fest nasce come un festival a matrice indie/pop/rock/alternative.
Visto? Potrebbe essere – ed è – la line up di un ottimo, ottimo, ottimo festival dance di casa nostra di quelli “battaglieri”, ricercati, non mainstream. C’è davvero tanta club culture nei criteri di scelta, ed infatti non manca una bella collaborazione con This Is Not, a proposito di gente che resiste ed insiste nel portare appuntamenti fissi durante l’anno, invece di arrendersi alla “dittatura dei festival” (bravi, loro: da un bel po’ sono nei nostri radar come crew, ne ammiriamo molto la cazzimma e la gioia nel fare le cose passo dopo passo).
Il collettivo che dà vita a Woodoo Fest, tornando al nucleo principale della faccenda, è sempre stato di larghi ascolti, quello sì, ed è gente che si è “sporcata le mani”: prima di arrivare a fare un festival, ha mietuto serate su serate da promoter in vari locali e realtà a nord di Milano, nel varesino. Ma appunto: non erano 100% esponenti del circuito del clubbing. Tutt’altro. Vi guardavano con curiosità. Ne prendevano alcuni sapori. Ma quest’anno è diverso. Quest’anno si è voluto fare un deciso cambio di marcia.
“È un percorso iniziato da quello che ci stava accadendo come fruitori di festival, concerti, serate. E lo abbiamo visto negli occhi e nella gioia del nostro pubblico nelle serate più vicine al clubbing fatte nelle scorse edizioni. L’estetica, i messaggi e la comunità di Woodoo stavano andando in quella direzione“: parla così Matia Companoni, il direttore artistico del festival.
C’è questo, e c’è anche un discorso legato proprio al fatto che il successo della scena indie – in senso lato – italiana ha portato ad un impazzimento di prezzi e richieste degli artisti, agenzie e management che a questa scena appartengono. Un po’ come succede – ma nel mondo, non in Italia – per i dj/producer di grido, no? Solo che appunto: nel clubbing è un fenomeno che tocca soprattutto i top player globali mentre, fatte le debite proporzioni, nel mondo indie italiano tocca tutti o comunque moltissimi, troppi, tocca anche gli esordienti, anche quelli che in realtà non hanno mai avuto un successo così forte da giustificare certe richieste da big. Sentono tutti di avere il coltello dalla parte del manico. Sentono tutti di essere l’architrave di un meccanismo vincente, tanto vincente!, e che non ha alternative.
Attenzione. Perché questa potrebbe essere la prima manifestazione di un cambiamento epocale, per il mercato italiano. Il sapore “da club” che inizia ad entrare anche lì dove si è sempre privilegiata l’atmosfera indie e live. E quindi tutto il mondo “indie” (di nuovo: in senso lato) che smette di essere egemone nell’ecosistema italiano della musica live e dei suoi promoter.
Un tempo era (quasi) solo Cosmo a partire da un background indie ed alternative arrivando invece ad offrire una storia artistica al 100% immersa nella club culture, come modus operandi, come attitudine. Il fenomeno però potrebbe iniziare ad allargarsi. In stagioni in cui sono ormai anche i grandi dj che, consci del loro successo, sempre più spingono verso comportamenti da rockstar, vedere invece percorsa nel suo piccolo la strada inversa – dal rock consolidato al clubbing underground – è dannatamente interessante.
A maggior ragione se poi le scelte in line up sono intelligenti, di gusto, non scontate, in questa inversione di tendenza. Non ci sono i grandi nomi acchiappa-folle. C’è, per dire, la Toy Tonics, ci sono Tamburi Neri, c’è appunto la crew di This Is Not, c’è la bravissima Adiel. Insomma: merita. Se siete in zona, assolutamente andateci (biglietti, qui): potrebbe essere l’inizio di un plot twist sugosissimo nella scena italiana, oh sì. Oltre che, molto semplicemente, un festival dove si sta gran bene e si gode un sacco, ballando a modo. In the woods.