C’è un comune denominatore che lega i dischi messi questa volta in bella mostra nella mia Wunderkammer: la sovrapposizione stilistica, un mix vicendevole di appartenenze a generi diversi, un controbilanciamento di suoni, una specie di sinapsi sonora che genera effetti singolari, talvolta stranianti ma piacevoli. Si passa dall’intensa oscurità di ADMX-71 alle rievocazioni tematiche dei Disco Doubles e Laroze, dalle visioni plurime dei The Normalmen all’ambient robotizzato di Der Zyklus sino ad un paio di ripescaggi cult (Zeus B. Held e Zenamon) e al nuovo album di Mauro Picotto, tra i primi DJ italiani a girare il mondo con la propria musica quando i social network non esistevano ancora.
ADMX-71 – Coherent Abstractions (L.I.E.S.)
A poco più di un anno da “The Redacted Files”, il fratello di Frankie Bones torna sulla label di Ron Morelli col terzo album siglato ADMX-71, alias con cui identifica la sua vocazione più dedita alla sperimentazione timbrica. “Coherent Abstractions” è un lavoro sonoramente orrorifico, in cui il colore predominante è solo uno, il nero. Dentro c’è dark ambient sommato a cocci di industrial destrutturata ed IDM spettrale. I (pochi) elementi ritmici diventano sponde a cui si aggrappano frequenze spigolose, distorsioni, crepitii, noise insomma, quello che avrebbe appassionato pure Luigi Russolo. Quando entrano i sinistri tam tam e gli sferraglianti effetti di “Conjectured State” si ha l’impressione di assistere ad una versione depotenziata dell’EBM, rinnovata in “My Theme Song”. Oltre ai darkismi psichedelici di “Bound & Broken” e i mosaici deflagrati di “Mystical Ascent” (una sorta di Monolake più onirico) si segnala pure “MGM_41-85”, in cui una TR-808 dà il tempo ad un impianto di lead che fanno lo stesso effetto del Danny Wolfers più crepuscolare (senti “Cultus Island” di Klaus Weltman, 2004). Un album pervaso da oscurità, perfetta colonna sonora di una passeggiata notturna nelle vie periferiche di una città, quando il silenzio mette in risalto i rumori che di giorno passano inosservati.
Zeus B. Held – Vinyl Collection (Medical Records)
Insieme a Dark Entries, Minimal Wave e Private Records, la Medical Records è tra le leader in ambito “etichette di salvataggio”. Ora è tempo di riscoprire la musica di Zeus B. Held, compositore e musicista membro dei Birth Control ma ricordato in primis per aver prodotto “No G.D.M.” di Gina X Performance (già “riesumato” dalla stessa Medical nel 2013). Tra gli anni Settanta e gli Ottanta Held ha modo di collaborare anche con John Foxx, Dead Or Alive e Rockets (il vocoder di “On The Road Again” era proprio il suo, ed è sufficiente ascoltare “Held It” per averne conferma). Setacciando gli album “Zeus’ Amusement” (1978), “Europium” (1979) ed “Attack Time” (1981), la Medical ottiene una sorta di ‘best of’ che celebra al meglio le intuizioni del tedesco, tra krautrock, funk e synth pop, sottolineati dalla magistralità nel programmare il vocoder. A svettare meglio in tal senso sono “Music, Musik, Musique” (potrebbe tornarvi in mente “The Game Of Love” dei Daft Punk), “Mechanical Choir”, “Off The Cuff”, “Drive My Car” ed “Harlie’s Waltz”. Tutto è opportunamente rimasterizzato e solcato su vinile colorato in grammatura per audiofili, 180 grammi.
The Normalmen – Antruum Odyssey (White Jail Recordings)
“Asian Spectrum” mette al centro i saliscendi dell’acid ma non ripiegando su schemi triti, “The Lushifer” è stupendo funk sgambettante che flirta col boogie del passato e che pare dividere qualche assonanza melodica con “All Alone” di Seymour Bits (Breakin’ Records, 2003). Il 12″ ospita dell’altro, come la Techno/House jazzata di “Opus 46” ed “Antruum Odyssey”, l’astrazione ambientale di “The Arp Arcanum”, e l’acid frammista a chord di estrazione deep di “Misamoto Mansion”. Buon colpo per The Normalmen ovvero Whodamanny e Milord, che riconfermano le proprie doti a poche settimane dall’uscita dell’affascinante “Solaria” di The Mystic Jungle Tribe, ambizioso progetto che li vede impegnati insieme a Dario Di Pace.
Der Zyklus – Axonometric (Zone)
Nato nel 1998 con “Der Tonimpulstest” su International Deejay Gigolo, Der Zyklus è uno dei fantasiosi alias con cui Gerald Donald marchia la sua musica, in posizione intermedia tra abstract ambient ed electro, sequenziata su scarni telai di batteria ed armonizzata con cicli che si susseguono nel tempo ma che, magicamente, eludono il banale loop. È quanto accade in “Perspective Grid”, dove la verticalità del ritmo si congiunge all’orizzontalità dei suoni, creando un reticolo mistico. Più inquieto lo scenario di “Plan Oblique”, coi rullanti che dividono in segmenti la linea contorta del basso, in mezzo ad un campo minato di suoni digitali. Immersa in soluzioni alchemico-scientifiche è “Isometric Projection”, parallela ai contenuti di “Biometry”, l’album del 2004 (l’unico pubblicato sinora con questo pseudonimo) con cui l’autore ha conferito a Der Zyklus una dimensione meno legata al ritmo e più all’ambient robotizzato. “Explosion Diagram” torna sulle formule iniziali evolvendosi entro aree quasi dissonanti ma sempre con quella magica ripetitività minimalista che Donald porta avanti sin dai tempi dei primi Dopplereffekt (1995). L’EP è destinato alla francese Zone che lo pubblica solo in digitale. Al vinile (300 copie in 180 grammi) ci pensa invece la londinese The Vinyl Factory ma, a quanto pare, lucrando non poco sul prezzo finale.
Zenamon – Zenamon (Private Records)
L’etichetta berlinese specializzata in cult reissue mette le mani sull’album che il boliviano Jaime Mirtenbaum Zenamon pubblica sulla Polydor tedesca nel 1984 e in cui figura, tra gli altri, il nome di Udo Hanten degli You. Il disco, registrato nello studio di Christopher Franke dei Tangerine Dream, è uno spaccato di musica new age ed ambient, ed incorpora suoni acustici (chitarra, santoor) ed elettronici, sovrapponendoli in un combo decisamente affascinante e non così distante dallo stile di artisti contemporanei come Air, Barbara Morgenstern o i nostri Retina.it. Brani come “Skylife”, “Hot Wine” e ancor meglio “Oh Nandu, What We’ve Done” (più raro dell’album e per l’occasione ristampato pure su 12″ Maxi-Single) riassumono le doti di un musicista di formazione classica che, desideroso di arricchire la propria musica, è ricorso a macchine ai tempi superficialmente considerate da molti “diavolerie elettroniche” ed indegne di essere paragonate agli strumenti tradizionali. La storia poi ha dato ragione a chi, invece, vide il futuro proprio nelle apparecchiature alimentate a corrente elettrica.
Laroze – Find A Place EP (Dance Around 88)
Il nome dell’etichetta parla chiaro: il focus è su un preciso periodo storico per la dance, un anno epocale (vi dice niente la cosiddetta ‘The Second Summer Of Love’?) che sancisce lo stato di grazia, in terra britannica ma non solo, dell’acid house. L’EP di Robin Larroze alias Laroze comincia, non a caso, con un tributo alla musica degli smile gialli, “R U Proud”, spassionata acid house in cui l’immancabile TB-303 freme insieme all’altrettanto classica TR-909 snocciolando un classico tool riepilogativo. “Slam Jam” ne segue la scia, con elementi “traxiani” simili. Il registro muta quando suona “Find A Place”, sotto cui si annida un nugolo di elementi funk/disco à la french touch, con un’acapella (carpita forse ad un pezzo della compianta Loleatta Holloway?) che a tratti ricrea l’effetto Black Box. “Her Smile” è figlia della deep house anni Novanta, “More” tira il sipario con giunture tra house, disco e funk che fanno riassaporare l’essenza dei tentativi di ridare vita ai 70s in tempi non sospetti (Faze Action, Daniel Wang, Pépé Bradock, Motorbass o i nostri Leo Young e Tutto Matto). Niente di nuovo all’orizzonte ma comunque gradevole.
Disco Doubles – For One Night Only (Emerald & Doreen)
Dopo aver inciso per Permanent Vacation, Nang e No Static Recordings, i Disco Doubles (Gilberto Caleffi ed Erio Simonini) realizzano il primo album che finisce nel catalogo della particolarmente prolifica Emerald & Doreen, tedesca. Gli intenti svelati nel 2013 non subiscono sostanziali variazioni: la loro resta dichiarata Nu Disco, declinata in modo certosino ma non con la foga del voler sembrare retrò a tutti i costi. La tracklist si apre splendidamente con “Breakthrough”, dove la voce di G. Rizo fa da spartiacque in un brano che ha il sapore del remix che Tiga realizzò per “Madame Hollywood” di Felix Da Housecat (era il 2002), in mezzo ad arpeggi, dispiegamenti celestiali e qualche break “cowleyano”. Il piglio è lo stesso in “Reach For The Stars”, che parte dagli 80s e giunge nel nuovo millennio senza far avvertire bruschi scossoni a chi ascolta. Qui i due si divertono a spingere anche un po’ di synthwave ma è un peccato che non ci sia una linea vocale a fare da collante tra gli elementi sapientemente coordinati. “Feel” ha un sequencer moroderiano con tanto di rastrematura melodica in stile “I Feel Love”, “Together”, con l’intervento vocale di Kathy Diamond, sarebbe stata perfetta sulla Hot Banana di Kiko, con quella spinta house che rievoca la disco e viceversa. Su “Paradise” si posa un trionfale vocoder in stile Rockets (vedi Zeus B. Held qualche recensione più sopra) a scandire gli effluvi melodici di una synth disco che non vuole passare di moda, “Something In The Air” è eurodisco non troppo mielosa o romantica, interamente strumentale tranne per un micro sample femminile che recita il titolo. “Speed Of Light” sfila via in modo simile mentre “Galaxy” è dominata da melodie che surfano su blocchi synth pop. L’epilogo è intrigante almeno quanto il prologo: “Funk With You” è House spintonata dal funk e rimanda a “Demons”, pubblicata un paio di anni fa che oltre ad avvalersi della stessa voce, quella di D’mia, fu remixata da Darshan Jesrani dei Metro Area. Rammarica solo il fatto che brani curati con tale passione restino confinati al formato liquido.
Mauro Picotto – From Heart To Techno (Alchemy)
Il cuore di Picotto non ha mai palpitato per stili musicali monotematici e monocromi. Chi conosce bene la sua discografia, immensa, lo sa, e questo nono album, che giunge a ben cinque anni dal precedente, lo attesta. “The Whistle” suona come palese conferma, con le pianate jazzy a decretare un risultato più house di quanto ci si potesse aspettare da uno che, almeno per un po’ di anni, sembrava indissolubilmente legato alla techno. Pure in “Flashback” e “Born” si ha l’impressione che techno ed house si incontrino a metà strada per lanciarsi in un fraterno abbraccio. L’eterogeneità è una prerogativa del piemontese, e lo capiamo quando a sfilare è una techno solida, prima percorsa da flussi di elettricità (“My Friend Tesla”) e poi da fili di luce riflessa su specchi (“Space”). Tra le righe si legge anche qualche non troppo velato déjà-vu: è il caso di “Proximus Medley With Adiemus”, remake (tech house) della sua “Proximus” che nel 2000 portò sul dancefloor un celebre brano di Karl Jenkins, e di “Eterea”, che si muove tra il basso dell’Anthony Rother di “Father” ed un innesto melodico che fa il verso a “Bakerloo Symphony” (R.A.F. By Picotto, 1995). Di rievocazioni se ne ritracciano ancora sbirciando in “Time To Wake Up”, che rimanda a quel sound plastico in cui erano incastrati segmenti nervosi di sintetizzatore (senti “Metamorphose EP” ed “Awesome!!!”, entrambi del 2001) e ad un effetto forse tratto da “The Robots” dei Kraftwerk. “Lifeblood” è intrecciata a vortici trance e ad un pianoforte tanto “dreamy”, gli stab di “Night Crawling” fanno riaffiorare nella memoria “Everybody” dei Cappella (1991) ed incorniciano una serie di percussioni miniaturizzate. Più clubby, ma senza particolari guizzi creativi, “Morning Time” ed “Atomic”. Il DJ dimostra ancora di non essere più quello con l’ideogramma giallo “tatuato” sui capelli reinventandosi (pur senza rinnegare) con quella che nel libro “Vita Da DJ” (di cui parlo qui) definisce sexy techno. Nel contempo però ci fa capire anche di aver (comprensibilmente) lasciato una parte del cuore negli ultimi decenni del Novecento. Ps: in digitale finiscono altri brani, come “Left In My Bag” che evoca “Where The Streets Have No Name” degli U2 (già riadattato dagli Harmonix nel 1996 in “Landslide”), alcuni remix a firma Mark Sherry, Frankyeffe ed Alex Costa, e pure “Komonster”, remake slow-ballad della celebre “Komodo” germogliata su “Sweet Lullaby” dei Deep Forest.