Come dice un mio amico: “Mai fidarsi di un rapper che cambia nome, di solito quello è l’inizio della fine”. Purtroppo ci sono anni e anni di fatti che dimostrano come questa sua teoria non sia per nulla campata in aria. Il cambio di nome, di solito, è una cosa che fai quando non sai più come attirare l’attenzione: un tentativo disperato di riposizionamento del brand (sì, lo so che parlare di musica, di arte, e di chi l’arte la crea in questi termini fa davvero schifo) quando ormai le hai già provate tutte. Ché poi, spesso, i “cambi di nome” funzionano pure: come non citare, per esempio, i tantissimi giri di valzer del buon Snopp Dogg intorno al suo nom de plume. Ha smesso di essere Doggy, prima, è diventato Lion*, poi, eppure è rimasto un personaggio più o meno sempre sulla cresta dell’onda. Se si guarda esclusivamente al percorso artistico, tuttavia, è impossibile non notare come a un cambio di nome non sia mai corrisposto un disco perlomeno interessante. Non dico un capolavoro, ma almeno qualcosa in grado di eguagliare se non eclissare l’interesse suscitato dal nuovo alias.
Questo discorso riguarda più o meno tutti, ma non Mos Def, all’anagrafe registrato come Dante Terrell Smith Bey e da qualche anno noto come Yasiin Bey.
Mos Def non ha cambiato nome per regalare una nuova news al mondo. La storia recente di Yasiin Bey – chiamiamolo come ha scelto di essere chiamato – è la storia di un uomo in fuga da se stesso e dalla sua notorietà. Quella che si è conquistato fin dalla prima metà degli anni ’90 e che l’ha visto passare dall’essere star del rap underground ad attore hollywoodiano di media grandezza. Il suo ultimo album ufficiale – “The Ecstatic”, peraltro ottimo – risale ormai al lontano 2009; e così, tra un featuring e l’altro (e un concerto quando capita), Yasiin Bey ha deciso di mettere in secondo piano la sua musica per diventare una specie di megafono umano.
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D’altronde, l’attivismo politico fa parte della sua storia almeno quanto le rime e i beat su cui è abituato a rappare, così come i guai giudiziari in cui spesso incappa proprio per le sue iniziative politiche.
Nel 2005, per esempio, venne arrestato perché durante gli MTV Video Music Awards che si tenevano al Radio City Music Hall di New York si presentò davanti all’ingresso del celebre teatro con un sound system ambulante per eseguire e lanciare il suo singolo Katrina Clap, un attacco frontale all’amministrazione Bush dopo i fatti che avevano seguito i disastri causati dall’Uragano Katrina in quel di New Orleans.
Da sempre vicino alla Nation Of Islam, nel 2012 ha deciso di abbracciare con forza la fede musulmana e, appunto, cambiare ufficialmente le sue generalità (non solo quelle artistiche) in Yasiin Bey. Guarda caso è proprio da quel momento che la percezione pubblica nei suoi confronti cambia in maniera radicale: Mos Def non è più il rapper fichissimo rispettato da tutti, ora è un tizio invasato che ha perso la brocca e si inventa le peggiori stronzate per riuscire a far parlare di sé. Queste accuse emergono prepotentemente la prima volta quando nel 2013, su iniziativa di Reprieve, un’organizzazione che si batte per la tutela dei diritti umani, si offre come cavia per un video shock in cui subisce, senza alcun trucco scenico, le stesse torture ricevute dai prigionieri di Guantanamo.
Io non lo so se avete mai provato a guardarlo, quel video, ma è un vero e proprio cazzotto nello stomaco. Roba da stare male e non riuscire ad arrivare alla fine.
Peccato però che i media, anche quelli in teoria meno conservatori come i siti che si occupano di musica, abbiano dato tutti più o meno la stessa interpretazione: “Yasiin Bey? Attention whore!”.
Stessa accoglienza, purtroppo anche dalle nostre parti, per la notizia arrivata dal Sudafrica qualche giorno fa e su cui è il caso di fare una puntualizzazione importante.
A noi è più o meno stato raccontato che Yasiin è stato arrestato per essersi rifiutato di esibire il passaporto americano mentre cercava di rientrare in Sudafrica (dove vive dal 2013), utilizzando al suo posto il famoso “passaporto universale”. Un documento non riconosciuto come legale.
L’accusa per Bey è infatti abbastanza grave: fabbricazione di passaporti falsi.
Non solo: aveva i visti scaduti da circa due anni. E per queste ragioni sarà costretto ad abbandonare il Sudafrica in tempi brevi.
Peccato però che lo stesso Yasiin/Mos Def abbia dichiarato di avere usato quello stesso passaporto più volte per entrare e uscire dal Sudafrica fin dallo scorso agosto (cosa confermata dal buon numero di concerti tenuti in giro per il mondo in questi ultimi mesi).
Non vuole più essere considerato un cittadino americano, e in qualche modo questo è un suo diritto.
Un diritto che, per ragioni politiche, si sente di dovere difendere fino al punto di essere messo in carcere. C’è poco da ironizzare quindi: non stiamo parlando di un tizio che è impazzito e che sgomita per qualche rigo in cronaca, ma di un uomo con un progetto in testa e degli ideali ben precisi. Uno che del suo dissenso ha fatto una ragione di vita.
Uno che da giorni si ritrova suo malgrado a essere trattato da zimbello, come uno sciroccato qualsiasi, come un Wayne Coyne che si presenta in aeroporto con una granata d’oro in tasca perché, boh, fa ridere. Chi lo sa.
Per questo non stupisce molto l’annuncio affidato al sito ufficiale di Kanye West in cui Yasiin Bey, più o meno rappando, più o meno in freestyle, spiega che a breve lascerà il Sudafrica e che cesserà di essere un personaggio pubblico.
L’album che uscirà (e di cui abbiamo ascoltato qualche estratto durante un suo concerto italiano dello scorso maggio) sarà il suo ultimo lavoro.
Poi basta: non più cinema, non più musica, niente di niente.
La fuga è finita.
E Yasiin Bey ha ufficialmente perduto la sua battaglia.
Kanye, però, magari riesce davvero a farsi eleggere presidente.
Chissà.
*Breve aneddoto su Snoop Lion: tre anni fa sono stato invitato in Sudafrica, neanche a farlo apposta, per assistere alla sua prima data in veste di artista reggae tutto peace, love e ganja.
E così alla fine di una conferenza stampa in cui Snoop si era presentato in veste di mistico soldato dell’amore, che aveva ripudiato gli anni da gangster e si annunciava al mondo come un apostolo di pace, erede disegnato di Bob Marley, qualcuno aveva avuto la bella pensata di chiedere quale sia stata l’esperienza più importante e indimenticabile della sua vita.
La risposta la ricordo ancora come se l’avessi sentita pronunciare ieri: “Man, non c’è niente di più fico che fare il pappone”.
Sipario.