Ci avevamo creduto, in Young Signorino.
Se seguite queste pagine da un po’ sapete che avevamo speso epiteti forti, causando anche un po’ di tumulto tra gli ultras dell’altro nome coinvolto, ma anche nel periodo successivo a quell’episodio Paolo Caputo aveva dato, se non altro, la sensazione di poter spostare un po’ più in là l’asticella della scena italiana, di avere quel po’ di idee e di tendenza iconoclasta che lo rendessero degno di attenzione.
Poi è un po’ sparito dai radar e, nel frattempo, la scena in questione è diventata gigante e ha iniziato ad accusare i problemi delle scene che diventano troppo grandi: ripetitività di temi, carenza di idee nuove, suono troppo uniforme, insomma, ha iniziato ad aver bisogno di uno Young Signorino che la ribaltasse, o che almeno indicasse una strada diversa.
E poi è uscito “Calmo”.
“Oh, dai, vediamo in che modo pazzissimo ha smontato e rimontato la trap stavolta”
“Ah, inizia con una traccia un po’ più intimista, più introspettiva…Ah, no, sono due, no, sono tre, no, sono quattro, no, ok, è tutto l’album“.
Ve la facciamo breve, a costo di sembrare tranchant, ma tanto non sarebbe la prima volta che lo siamo con lui: “Calmo” è la svolta emo di Young Signorino.
Di per sé non sarebbe niente di male, anzi: in una scena in cui sembra si parli solo di droga, bitches, fama e privée, qualcuno col coraggio delle proprie emozioni, anche quelle negative, e dei propri momenti di difficoltà emotiva è una mosca bianca, e a noi le mosche bianche piacciono sempre, e una mosca bianca è proprio quello che ci aspettavamo e in cui speravamo.
Quello che non ci aspettavamo, però, è il generale piattume che affligge tutto il disco: ok, Paolo non è mai stato un prestigiatore delle rime, ma “quante volte ho detto non ce la faccio più asciugando lacrime sopra i miei face tattoo” fa sembrare degna di un Nobel per la letteratura qualunque strofa di Massimo Pericolo (che pure non rientra nei gusti di chi scrive) e fa rimpiangere .
“Beh dai, però almeno magari le basi”
Ok, la base di “Mmmh ha ha ha” era un riciclo, ma in passato, grazie anche a una vecchia volpe come Big Fish, qualche base eccellente Young Signorino l’ha avuta.
E invece qui non c’è praticamente niente che si discosti dai classici pattern del cloud rap, che ormai non è neanche più una novità, o che non sembri uscita nel 2014, il che sarebbe deludente di per sé, ma lo è doppiamente da parte di uno che qualcosa di interessante l’aveva fatta.
Insomma, nel 2018 Young Signorino ha aperto una strada che poi hanno seguito in tanti (i FSK, giusto per fare un nome a caso, gli devono molto), ma poi si è dimenticato di percorrerla; adesso, a due anni di distanza, forse siamo noi a pretendere troppo e aspettarci che ne apra un’altra, ma un album così “comodo”, musicalmente parlando, in una scena che ormai sembra essersi definitivamente accomodata su sé stessa e non avere più niente da dire, fa davvero rabbia.