Non ho la presunzione di farmi chiamare dj in giro. Non penso ancora di esserlo (nonostante un’infinita passione), perché a fine mese non campo coi soldi che guadagno mettendo i dischi o con i proventi che arrivano dalla mia etichetta. Lo so, lo so, essere dj è un attitudine e quella o la si ha oppure no, anche se il conto in banca e le gigs sul myspace potrebbero far credere il contrario.
Sto attraversando un periodo in cui sono molto combattuto perché sta crescendo in me il desiderio di tornare a mettere quei cari vecchi dischi, quelli che saltano e che suonano uno diverso dall’altro, quelli che costano uno sproposito, quelli che scarabocchi per ricordarti quel’è il pezzo più bello della release, quelli che fanno la differenza e che hanno un anima, abbandonando un laptop che ha sostituito la mia faccia (come quella di molti altri “colleghi”) con una mela mangiata. Vogliamo parlarne? Sappiate che non sono tra quelli che impazzisce per i vari Hawtin e Dubfire che ormai fanno finta di mettere i dischi, nascosti dietro il paravento dell’ “Io sono un innovatore, io ho idee…”. C’è chi li difende e li giustifica a prescindere, ma trovo troppo comodo (ma nemmeno troppo carino) far sapere a tutto il mondo che dischi sto passando attraverso il mio canale Twitter… alla fine sticazzi, fai il dj o il pubblicitario? La categoria, se così si può definirla, è prossima al collasso grazie a modelli che hanno snaturato un mestiere facendolo diventare qualcosa a cui tutti ambiscono. Ma si tromba davvero di più? No perché se così fosse potrei (sforzandomi) trovare una spiegazione a tutti questi dj set in cui i dischi sono messi a tempo da Traktor o a ragazzi che si improvvisano producer, non perché sentono il bisogno di comunicare qualcosa, ma per arrivare nelle valigette di chissà quale artista. Ragazzi, se questo è il progresso allora non fa proprio per me.
Ma cos’è che volevo dire? Ah già: a me Youtube Disko fa rabbrividire. Non tanto perché non penso valga la pena dedicargli cinque minuti (massimo), ma perché tra una diavoleria e l’altra, tra un controller d’avanguardia e un mixer che corregge i “cavalli” presi dal dj, ditemi voi se c’era bisogno di quest’ennesima trovata che non fa che mortificare chi la passione per il “mettere i dischi per suscitare emozioni” ce l’ha davvero e non è una semplice fregola giovanile.
Scusate lo sfogo, ma certe stronzate vanno chiamate col loro nome.
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Music & Technology by Richie Hawtin
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