L’ho sentito e risentito questo disco del buon Ziggy Kinder, musicista tedesco in movimento da circa cinque anni, e chissà perché ho sempre avuto la tentazione di ficcarlo dentro a un genere ben preciso. E’ una cosa che non faccio molto spesso, quasi mai, specialmente se ho a che fare con un intero album. Non si possono mettre dieci o dodici pezzi in un sottogenere, a meno che non si parli di Avicii!
A parte gli scherzi, con questo lavoro di Ziggy Kinder più volte mi è venuta voglia di dire è “deep house”, è “techno, oppure è “minimal”. Comunque. “Barboom” tutto sommato è un bel disco. E’ ricercato, ballabile e sperimentale al tempo stesso, molto al passo coi tempi e poco di moda. In quest’album Ziggy Kinder dà prova di un ottima conoscenza e padronanza dei suoni, oltre ad una certa dimestichezza col dancefloor, con in più quella vena cupa e sognante (vagamente alla Robag Wruhme, per capirci) che io reputo fondamentale per la riuscita di un disco in generale, e specialmente di musica elettronica.
Il punto è che se provate a chiedermi quale delle tredici tracce mi è piaciuta di più, io non saprei che dire. Sul serio. Non lo so. Con la pistola alla tempia direi “King George”. Per ritmo e sensualità, ma anche per leggerezza. Strano, perché a me piace più la techno lenta che la deep house. Ed ecco che ritornano i generi… ahia. Comunque “King George” è più commerciale rispetto ad altri pezzi del disco ma è sufficientemente dirty e fantasiosa da farmi muovere le chiappe il che, diciamolo, per un disco che si chiama “Barboom” dovrebbe essere il fine ultimo della vicenda. Giusto, Ziggy?
Altri pezzi ben concepiti sono “Himmelmeister” e “Kinderwahrheit”, tracce dove suoni e sprazzi di melodie, tempi e piccoli tagli vocali si intersecano quasi alla perfezione, per un risultato finale che dimostra anche una certa sensibilità da parte di questo artista che – già uscito con Souvenir, ricordiamolo – alla prossima uscita ci farà volare, ne sono convinto.